Bene confiscato
solo se confiscato bene
Dietro ad ogni bene confiscato alla criminalità, si nasconde (e nemmeno poi tanto mestamente), quel sentimento di giustizia e legalità che, proprio a causa del malaffare, si è affievolito nel cuore di tutti.
19 febbraio 2019
L’articolo 11, comma 3, punto 9 del regolamento per la destinazione e l’utilizzo di beni confiscati alla criminalità organizzata di proprietà del Comune di Palermo, concernente la disciplina delle attività di volontariato svolte annualmente, viene istituito per verificare il permanere dei requisiti necessari per l’assegnazione di un bene confiscato e l’effettivo svolgimento delle attività da parte delle associazioni assegnatarie, in conformità con quanto disposto dal progetto presentato e per la realizzazione del quale il bene è stato concesso.
L’associazione assegnataria deve trasmettere una relazione dettagliata al Settore Risorse Immobiliari del Comune di Palermo, che offra un quadro delle attività svolte nel periodo annuale precedente, con riferimento alle risorse, alla struttura operativa e all’attività svolta.
È proprio la relazione, che la nostra associazione presenta ogni anno per l’immobile confiscato alla mafia di cui è assegnataria, a diventare occasione per una riflessione.
Innanzitutto, un bene confiscato alla mafia non è un bene come gli altri.
Che sia chiaro.
Dietro ad ogni bene confiscato alla criminalità, si nasconde (e nemmeno poi tanto mestamente), quel sentimento di giustizia e legalità che, proprio a causa del malaffare, si è affievolito nel cuore di tutti.
L’idea di ritornare ad appropriarsi lecitamente di qualcosa ottenuto illecitamente, diventa così una scelta obbligatoria e questo per un semplice motivo:
nessun cittadino onesto può più permettersi il lusso di non dare continuità al proprio impegno contro ogni forma di sopruso. Ne va del suo avvenire, dell’avvenire dei suoi figli, dell’avvenire dei figli dei suoi figli.
Tuttavia, crescere in termini di dovere, di rispetto delle regole, di organizzazione della lotta, di impiego oculato delle forze, non può essere qualcosa da demandare esclusivamente alla scelta di un singolo o, nel migliore dei casi, di una associazione di volontariato che nel territorio del bene confiscato opera da tempo, ma c’è bisogno ancor più che il coinvolgimento sia collettivo, sia nazionale.
Un Paese che non sostiene la diffusione di una cultura del bene, è un Paese che non tiene affatto alla sua storia. E, alla fine, se ne dimentica.
Una città come Palermo non deve essere lasciata sola. Per questo alla politica non si chiede di andare in una sola direzione, ma di fare del rispetto delle regole il simbolo di una rinascita e portare avanti i valori che sono quelli di una nazione.
Solo così si può pensare di lottare realmente contro tutte le mafie.